Alberto Sordi non poteva che essere tifoso della Roma. Nato a Trastevere il 15 giugno 1920, il grande attore capitolino è diventato un’icona della Città Eterna, a forza di interpretazioni magistrali, della sua inconfondibile parlata romanesca e di un’ironia contagiosa anche fuori dal set.
Senza ostentazione, Albertone coltiva una profonda passione giallorossa durante i quasi 83 anni della sua vita. «Allo stadio ci vado raramente perché si vede poco o niente – le sue parole alla “Gazzetta dello Sport” del 16 giugno 2001, alla vigilia del terzo scudetto romanista – se non trovo una televisione, ascolto la partita alla radio. È il modo migliore per gustarsela perché ci sono anche i commenti. Ricordo ancora le radiocronache di Nicolò Carosio, con le sue parole ti faceva vedere la partita, come un film».
Alberto Sordi all’Olimpico per Roma-Lazio 3-0 del 27 ottobre 1957 (Archivio Storico AS Roma)
«Non ricordo di averlo mai visto allo stadio accanto a noi o in trasferta – le parole di Riccardo Viola, figlio del presidente romanista Dino, durante la commemorazione “Roma, Alberto Sordi e la Roma” del 24 febbraio 2018 – eppure è una di quelle persone che fanno parte della nostra famiglia. Dobbiamo sempre parlarne al presente. L’amore di Alberto per la Roma è come la sua vita sentimentale: nessuno sa nulla (si parlò di una sua passione per Silvana Mangano, n.d.r.), non è stata mai pubblicizzata. Sordi non ha mai cercato di mettersi in evidenza né di farsi pubblicità con la Roma perché era un uomo con certi valori».
Nato in via San Cosimato 7 da una famiglia piccolo borghese, ultimo figlio di Pietro (13 maggio 1879 – 4 giugno 1941), direttore d’orchestra e bassotuba al teatro dell’opera di Roma, e Maria Righetti (11 febbraio 1889 – 29 febbraio 1952), maestra. Ha due sorelle (Savina, insegnante di religione, vissuta a lungo alla Garbatella, scomparsa a 61 anni il 19 agosto 1972 a Udine, e Aurelia, morta a 97 anni il 13 ottobre 2014 a Roma) e un fratello (Giuseppe detto Pino o Pinino, ingegnere impiegato al Comune, scomparso a 75 anni il 24 agosto 1990 a Livorno). Un altro figlio, che si chiama Alberto come lui, muore a pochi giorni dal parto il 24 maggio 1916.
A quattro anni Alberto viene investito da un’automobile, ma resta miracolosamente illeso. Istrione fin da bambino (a 10 anni lavora nel teatro delle marionette), per pochi mesi è allievo cantore nel coro della Cappella Sistina, esperienza che lo aiuta a sviluppare la sua caratteristica vocalità con timbro basso e profondo. Successivamente viene allontanato dall’Accademia dei Filodrammatici di Milano, a causa del suo marcato accento romanesco, che invece diventerà un punto di forza nella sua carriera di attore.
La passione calcistica parte da lontano: «Sono giallorosso fin da quando giocavo con una palla di stracci – le sue parole ancora alla Gazzetta nel 2001 – lo scudetto dell’83? Imbandierai le finestre di giallorosso. La mia casa è in una via di scorrimento (una villa degli anni ’30, progettata dall’architetto Clemente Busiri Vici e comprata dall’attore per 80 milioni di lire nel 1958 in piazzale Numa Pompilio, vicino alle Terme di Caracalla, n.d.r.), mi faceva piacere far vedere che anch’io partecipavo ai festeggiamenti».
Da ragazzino Sordi è tra quelli che salgono sul Monte dei Cocci per assistere “a scrocco” alle partite della Roma al Campo Testaccio. Spesso però non si riesce a capire il risultato esatto della gara perché da quel punto di osservazione non si vede per intero il terreno di gioco. Così, per sapere cosa ha combinato la propria squadra del cuore, Sordi e tanti altri ragazzini vanno al cinema: «Ai miei tempi – racconta in un’intervista a Eolo Capacci su “Momento Sera” del 26 marzo 1977 – quando ragazzino andavo la domenica al cinema Vittoria, vicino Testaccio, il direttore del cinema, il popolare “Cacarazzi” (al secolo Fernando Spernanzoni, che negli anni ’30 diventerà direttore del Teatro Eliseo, n.d.r.), tra il primo e il secondo tempo del film ci diceva il risultato della Roma. Era praticamente il nostro “Tutto il calcio minuto per minuto”. Non sapevamo niente dei calciatori allora, non conoscevamo quasi le loro facce, erano per noi un mito. E loro, andando in campo, facevano meno drammi, sentivano solo l’incitamento del pubblico». Di “Cacarazzi” ricorda ancora, a L’Unità del 13 gennaio 1989: «Quei risultati ce li faceva sospirare. Se in platea facevamo caciara veniva alla ribalta e diceva “o state boni oppure niente risultati”». Ma perché quel buffo soprannome? «“Cacarazzi” perché, per nascondere la sua calvizie, aveva un riporto di capelli che somigliava ai raggi (razzi nel dialetto romanesco) delle ruote di bicicletta». In un’altra intervista a L’Unità, pubblicata il 28 ottobre 1957 dopo un derby vinto 3-0, racconta come viveva le stracittadine ai tempi di Testaccio: «Quando la Lazio giocava a casa sua (alla Rondinella, vicino all’attuale Stadio Flaminio, n.d.r.), fori de porta, e chi se moveva? Restavamo dalle parti nostre, a Roma, aspettando di sapere cosa aveva fatto la Roma su per il nord e ingannavamo l’attesa, divorati dall’ansia, con i circuiti di pallone, o alla “nizza” o a “buzzico”. Sì, quando la Roma giocava a Testaccio, erano rare le volte che riuscivamo a metterci a sedere sugli scalini di legno, dipinti di giallo e di rosso, in mezzo ai grandi». Tra i cimeli personali di Sordi, esposti in occasione della mostra del centenario della sua nascita, emerge anche un tappetino con l’inequivocabile scritta: “Qui abita un romanista“.
Di quell’epoca dà una testimonianza anche Alberto Sebastiani, romano della Garbatella, coetaneo e amico d’infanzia di Sordi: «C’avevamo manco dodici anni e la domenica s’usciva sempre – ricorda nelle pagine del libro “Fuori i secondi” di Claudio D’Aguanno – se la Roma giocava a Testaccio noi c’avevamo il posto fisso in tribuna d’onore. Mica dentro lo stadio. Fuori, sulla tribuna speciale del Monte dei Cocci. Salivamo sulla collinetta e, dai mejo posti, senza pagare, guardavamo la partita. Quando perdevano i laziali non c’era tregua. Te li tormentava per tutta la strada del ritorno: “e nun ce vonno sta’” gridava “e nun ce vonno sta’“». Sordi vive la sua più bella esperienza calcistica allo stadio in Spagna, come rivela al mensile “La Roma” (luglio-agosto 1992): «Molti anni fa ero a Madrid e non dimenticherò mai lo straordinario spettacolo del Real Madrid di Di Stefano, Puskas, Gento, ecc. Era una squadra che faceva impazzire. Così dovrebbe entusiasmare la nostra Roma».
Già nel 1954 Alberto Sordi viene intervistato in chiave “giallorossa” per la pubblicazione “La Roma da Testaccio all’Olimpico”. Oltre all’attore trasteverino sono coinvolti altri personaggi dello spettacolo come Renato Rascel, Claudio Villa, Mario e Memmo Carotenuto, Aldo Fabrizi, Fiorenzo Fiorentini e Sophia Loren. Interrogato da Nando Castellucci su Alcide Ghiggia, stella uruguayana arrivata nel ’53, Albertone risponde in stile Nando Mericoni (il protagonista di “Un americano a Roma” e non solo): «Chi? Ghiggia del Kansas City… è un fenomeno, guai a chi me lo tocca». Tra le sue passioni c’è anche il ciclismo: nel 1950 sulla Rete Azzurra, uno dei canali radiofonici della Rai, va in onda “Vi parla Alberto Sordi al seguito del Giro“, in cui l’attore fa una delle macchiette che l’hanno reso celebre, quella del “compagnuccio della parrocchietta“, raccontando ironicamente ciò che si muove attorno a una tappa del Giro d’Italia: di fatto è uno scanzonato antesignano del “Processo” di Sergio Zavoli, capace di andare oltre la sola cronaca sportiva. Inoltre Sordi, con la sua Bianchi (tuttora conservata), ha l’abitudine di girare al mattino presto intorno alla sua abitazione. Quando ristruttura casa a piazzale Numa Pompilio, la dota anche di una palestra. Di Sordi si sa anche che è un buon nuotatore e che si interessa di tennis.
I riferimenti giallorossi nei suoi film sono scolpiti nella memoria degli appassionati di cinema. In uno degli episodi di “Un giorno in pretura”, pellicola di Steno del 1953, il 32enne Sordi interpreta Nando Mericoni (all’inizio del film lo speaker pronuncia chiaramente Mericoni, con la e, e durante il film viene ripetuto Mericoni), giovanotto di borgata con la passione per l’America e per Kansas City (il personaggio sarà ripreso un anno più tardi nel celeberrimo “Un americano a Roma”). Condannato a tre mesi di carcere per oltraggio al pudore, Nando cercherà di consumare allo Stadio Olimpico la sua vendetta nei confronti del pretore che ha firmato la sentenza (Salomone Lo Russo, interpretato da Peppino De Filippo) durante un derby Roma-Lazio. Nella finzione cinematografica è Lo Russo, tifoso laziale, a esultare perché va in gol suo figlio, calciatore biancoceleste. Nella realtà però si vede una fugace immagine dell’attaccante giallorosso Carletto Galli che segna in Roma-Lazio 1-1 del 29 novembre 1953 (il pareggio laziale porta la firma di Vivolo). Sordi (che incita Egisto Pandolfini), quando capisce che Lo Russo è «pure laziale» gli intima di gridare «forza Roma». Al rifiuto del pretore lo aggredisce: «E io te magno er naso, a ’ndo sta?!».
Già nel 1951, con il film “Totò e i re di Roma” (regia di Steno), Sordi aveva incrociato in qualche modo i colori giallorossi. In una scena il privatista Ercole Pappalardo (Totò) deve prendere la licenza elementare e la commissione, presieduta dal maestro interpretato dall’attore trasteverino, gli chiede chi sia stato l’ultimo re di Roma. I commissari, per aiutare il candidato, passano in rassegna i nomi dei precedenti sovrani e, arrivati al terzo, uno dice: «E questi sono i tre re della Roma antica…». Si gioca sull’equivoco con Totò che quindi, pensando al calcio (Armando Tre Re era capitano della Roma dell’epoca), ripete per essere rassicurato: «Tre Re della Roma?», i commissari annuiscono e chiedono: «Quale era il più famoso?» e Totò risponde: «Sempre della Roma? Amadei!», che i tifosi avevano rinominato l’“ottavo re di Roma”.
Enrico Vanzina, figlio di Steno, il regista di “Un giorno in pretura”, ricorda: «Sordi era veramente romanista. Dovremmo prenderlo ad esempio tutti quanti per come era tifoso con la sua classe e il suo umorismo. Al contrario del tifo becero e prevaricatore di oggi. Lui diceva, in un film memorabile, “io so’ io e voi nun siete un…”».
«Sordi è stato centrale nella mia vita e in quella della mia famiglia – continua Vanzina – questa grande amicizia è nata quando mio padre lo scelse per “Un giorno in pretura” contro il volere di Carlo Ponti (grande produttore dell’epoca, n.d.r.), che diceva che Sordi nudo “faceva schifo” (c’era da girare una buona parte in costume da bagno, n.d.r.). Il successo invece fu tale che poco dopo girarono anche “Un americano a Roma”, film che ha lanciato definitivamente Alberto. Poi ne fecero tanti altri tra cui uno meno conosciuto, “Piccola posta”, che consiglio perché sublime. Ho lavorato con Sordi e posso confermare che era esattamente come lo conoscete sullo schermo: un benpensante, borghese serio e spiritosissimo».
Un altro derby, Lazio-Roma 0-3 del 14 ottobre 1956 (gol di Da Costa, Pestrin e ancora Da Costa), entra di prepotenza nel film “Il marito” di Nanni Loy, Gianni Puccini e Fernando Palacios, uscito nelle sale cinematografiche nel 1957. Alberto Mariani (Sordi) scorge dalla finestra i tifosi biancocelesti in strada, diretti allo stadio: li deride e poi scalpita con la moglie Elena (Aurora Bautista) per andare a vedere la partita. «Appena nato il mio primo vagito fu “forza Roma”» le spiega. Non vuole fare brutta figura con «centomila tifosi romanisti» (l’Olimpico, all’epoca, è conosciuto proprio come lo “Stadio dei centomila”), ma suo malgrado non potrà andare allo stadio né seguire la stracittadina alla radio per colpa di un concerto di violoncello organizzato dalla moglie, a casa, per le sue amiche. Il violoncello “colpevole” verrà fatto esplodere a fine serata, con l’approvazione del prete di famiglia.
“Il marito” è anche la pellicola della celebre telefonata in cui Albertone spernacchia sonoramente gli amici biancocelesti gridando: «Forza Roma, sempre forza Roma… Alla faccia tua e di tutti i laziali».
L’attore romano porta fortuna alla squadra giallorossa: un anno più tardi, il 27 ottobre 1957, è immortalato sugli spalti dello Stadio Olimpico in occasione di un altro derby vinto dalla Roma. Finisce ancora 3-0, con reti nella ripresa di Lojodice, Da Costa e Ghiggia. Dopo il derby vinto è intervistato da ‘L’Unità’: «Come ho visto la partita? – racconta – come un tifoso giallorosso, l’ho vista. Sono nato nel cuore di Trastevere, dalle parti di San Cosimato e abito nel cuore di Ponte (il quinto rione di Roma, n.d.r.). Che devo esse, laziale?». Alberto Sordi poi racconta quel derby vissuto dal vivo: «Quando sono tornato a casa una popolana di via dei Pettinari, che è la strada dove abito, m’ha detto tutta contenta: “L’hai fatta vince la Roma, eh Albe’?”. Oddio, non è stato merito mio, ma al secondo tempo anch’io ho strillato “e nun ce vonno sta’“, ed era appunto il momento in cui si vedevano solo striscioni giallorossi sulle scalinate. E le rare grida ciociare che avevamo sentito all’inizio della partita, prima s’erano man mano infiacchite e poi avevano lasciato completamente il posto ai rauchi tifosi trasteverini al gran coro “v’avemo ‘mbriacato” che mi ricorda l’infanzia su Monte Testaccio».
Della sua passione giallorossa e del suo rapporto con i laziali parla con ironia a L’Unità del 13 gennaio 1989: «Perché sono romanista? Che domanda! So’ romano e quindi romanista». E i laziali di Roma? «Ma lassali sta’ quelli, so’ laziali perché c’hanno la puzza sotto er naso, vogliono fa’ gli snob perché pensano che fare il tifo per la Roma sia troppo prosaico. Oh, comunque, io li rispetto e sono stato contento quando la Lazio è tornata in Serie A. Roma ha bisogno di due squadre, del derby e poi così noi romanisti se famo quattro risate».
Nel 1970 è protagonista del film sul calcio “Il presidente del Borgorosso Football Club” per la regia di Luigi Filippo D’Amico, ma in questo caso non si parla di Roma. Sordi interpreta la parte di un bibliotecario vaticano, Benito Fornaciari, che alla morte del padre eredita la presidenza del Borgorosso, piccolo club romagnolo dalla maglia bianconera. L’avventura nel calcio sconvolge l’esistenza del protagonista, portandolo sull’orlo del fallimento, metafora dei presidenti “ricchi scemi” criticati dall’allora presidente del Coni Giulio Onesti.
Nel film compaiono i difensori della Roma Aldo Bet e Sergio Santarini, mentre la parte del portiere del Borgorosso è interpretata da Oriano Testa, terzo portiere del Bologna. Nel cast anche altri calciatori come Omar Sivori (che all’epoca aveva già lasciato il calcio), il futuro romanista Valerio Spadoni, il mediano del Baracca Lugo Germano Pistori (che ha giocato anche con Portogruaro e Nardò) e l’ex portiere della nazionale Giorgio Ghezzi.
Coautore delle sceneggiatura è Adriano Zecca, ex calciatore della Roma (tra il 1949 e il 1953), rimasto poi a vivere nella Capitale, in via Marostica a collina Fleming.
In “Finché c’è guerra c’è speranza” del 1974, Sordi, regista e protagonista del film, interpreta Pietro Chiocca che ai controlli doganali dell’aeroporto di un paese africano mostra la tessera di abbonamento vitalizio alla Roma 1974-75 spacciandola per un documento di identità. «Un “Forza Roma”, quando posso, nei miei film ce lo ficco sempre – ricorda Sordi a L’Unità del 13 gennaio 1989 – in “Finché c’è guerra c’è speranza” ho usato anche la tessera della Roma per fregare un rappresentante d’armi mio rivale. Traducevo la scritta A.S. Roma come Association Sanitaire Rome e convincevo il poliziotto francese a mettere in quarantena il mio avversario».
Un riferimento calcistico c’è anche in “Un borghese piccolo piccolo” del 1977 (regia di Mario Monicelli), in cui Sordi, anche qui acceso tifoso romanista, perdona al figlio il fatto di essere laziale.
Dopo oltre 20 anni Alberto Sordi torna a vestire i panni di Nando Mericoni (già visto in “Un giorno in pretura” e in “Un americano a Roma”), lasciando trapelare la sua fede romanista in “Di che segno sei?” del 1975, con la regia di Sergio Corbucci. Nel quarto episodio del film, intitolato “Fuoco”, Mericoni è la guardia del corpo “Gorilla K2” che, vantandosi della sua preparazione speciale, boccia i poliziotti tradizionali come «burini» e «laziali».
Le immagini di Catanzaro-Roma 1-1 del 13 gennaio 1982, recupero di una partita di campionato rinviata per vento un mese prima, finiscono nella pellicola “Io so che tu sai che io so”, per la regia dello stesso Sordi, protagonista della storia con Monica Vitti. «Dai Falcão! Dai Falcão!» grida davanti alla televisione, sbragato in poltrona, Fabio Bonetti (Sordi). Il match, raccontato dalle parole di Enrico Ameri, finisce 1-1, come nella realtà, con i gol di Edy Bivi (mentre Sordi, stizzito, si accende una sigaretta e sussurra «che imbecilli») e di Sebino Nela.
Ne “Il tassinaro” del 1983, Sordi, anche qui regista e protagonista, trasporta a bordo del suo taxi “Zara 87” anche l’onorevole Giulio Andreotti. Per rompere il ghiaccio con l’illustre passeggero il tassinaro Pietro Marchetti parla della Roma: «È un grande romanista lei, grande tifoso della Roma – dice con tono reverenziale Marchetti ad Andreotti – lei ha fatto molte cose per Roma e per la Roma».
«Faccio il tifo da quando so’ ragazzino – risponde il politico della D.C. – allora a Testaccio, forse era un po’ più genuina, ma adesso ci dà delle soddisfazioni, almeno adesso sembra sulla strada buona». È l’epoca della grande Roma di Liedholm e Viola, che vince il titolo nel maggio del 1983. «È stata una strada lunga, onorevole – replica infatti il tassinaro Alberto Sordi – ma se è vero che tutte le strade portano a Roma, anche quella dello scudetto l’abbiamo aspettata quarant’anni e poi, daje e daje, è ritornata a Roma».
Il debole di Sordi per Andreotti è rivelato dal giornalista Eugenio Scalfari che (probabilmente nell’aprile del 1983), in aereo con l’attore romano, gli chiede a bruciapelo quale politico preferisca: «Andreotti è il più grande di tutti – la risposta sorridente di Albertone che poi sussurra – Berlinguer mi piace, come uomo naturalmente, non come politico».
Di quel periodo è una toccante foto di Roberto Tedeschi, che ritrae una stretta di mano tra Albertone e il presidente romanista Dino Viola, sotto gli occhi della moglie Flora. Riccardo Viola, presidente del Coni Lazio e figlio del grande numero uno giallorosso ricorda: «Ho chiesto aiuto a Roberto Tedeschi che fece questa foto – le sue parole durante la commemorazione di Sordi del 24 febbraio 2018 – venne scattata nel 1981-82 al ristorante Apuleio durante una serata organizzata da Sergio Terenzi del Roma Club Garbatella. L’abilità di Terenzi fu quella di organizzare questa manifestazione nell’unico ristorante dove Sordi andava a cena, facendo in modo che “casualmente” si incontrassero».
Altra foto (che trovate all’inizio dell’articolo) di Roberto Tedeschi da ricordare è quella di Sordi con Agostino Di Bartolomei, carismatico capitano romanista dei primi anni Ottanta.
Tuttora tra gli attori preferiti da Francesco Totti, in pochi ricordano che Alberto Sordi assume un incarico ufficiale nella “sua” Roma il 24 luglio 1991. Sotto la neonata presidenza di Giuseppe Ciarrapico viene infatti inserito nella “consulta” del club, dopo una corte insistente portata avanti da Mauro Leone, tifoso giallorosso, uomo di cinema e poi anche dirigente romanista.
«Il professor Leone mi disse un giorno se mi avrebbe fatto piacere appartenere alla Roma – rivela Sordi in un’intervista esclusiva al mensile “La Roma” di luglio-agosto 1992, quando la consulta è già sciolta – gli risposi che non avevo tempo per andare alle riunioni della consulta e che allora era impossibile un mio contributo efficace. Ma a lui non importava questo perché la mia presenza doveva contribuire soltanto a festeggiare i successi che la squadra avrebbe conquistato in futuro».
Nella consulta, con il 71enne attore romano, ci sono anche Antonello Venditti, Lando Fiorini, Ornella Muti, Loretta Goggi, Lorella Cuccarini, Gigi Proietti, Ennio Morricone, Pietro Garinei, Bruno Oliviero, Giovanni Guidi, Adriano Ossicini, Luca Danese, Bartolo Consolo, Fulvio Stinchelli, Paolo Liguori, Francesco Polidoro, Alessandro Fracassi, Carlo Molaioli, Roberto Di Russo, Paolo Torresani, Vilfredo Vitalone, Mario Ponziani (in rappresentanza dei piccoli azionisti) e, come portavoce dei tifosi, Nilo e Fausto Iosa, Vittorio Trenta, Giuseppe De Vivo, Aldo Pasquali, Guido Zappavigna e Cesare Baroli.
«Roma è una città universale e merita di avere una squadra di prestigio internazionale. Io mi auguro di essere chiamato presto a brindare per qualche vittoria – spiega Albertone al mensile “La Roma” – mi dispiace dirlo, ma da quando ho ricevuto la nomina (nella consulta, n.d.r.) non ho potuto vedere i ragazzi dal vivo. La verità è che non ho tempo per niente».
L’esperienza di Sordi nella consulta giallorossa dura pochi mesi, quella di Ciarrapico alla presidenza due anni. Nelle drammatiche settimane che portano alla conclusione della gestione della Roma da parte del re delle cliniche, finito in carcere, Sordi risponde all’appello del sindaco capitolino Franco Carraro per creare una cordata e salvare la società giallorossa, a un passo dal fallimento: «Se qualcuno prende l’iniziativa di realizzare la proposta del sindaco sarò felice di partecipare all’azionariato popolare – dice Alberto Sordi il 22 marzo 1993 – sono romanista in quanto nato a Roma ma, nonostante sia stato invitato più volte a partecipare come consigliere di squadre agonistiche, ho sempre rifiutato perché non ho mai avuto il tempo indispensabile per dedicarmi ad un impegno del genere. Però un’esperienza di questo tipo l’ho fatta quando sono stato presidente della squadra “Borgorosso Football Club” ma si trattava del film diretto da Luigi Filippo D’Amico per cui ho solo sfiorato i complessi problemi della dirigenza. Sin da ora esprimo la mia solidarietà di sportivo e sono pronto ad essere uno dei 40 mila soci necessari per sottoscrivere le azioni, come auspicato da Carraro per salvare la Roma. Sono sicuro che vi saranno molti altri personaggi del mondo dello spettacolo disposti a partecipare all’iniziativa, oltre a Venditti e Baglioni».
Il 20 dicembre 1998, prima di un Inter-Roma di campionato, Albertone racconta la sua passione giallorossa in un’intervista a Tele+ Bianco, nella rubrica “L’incontro”. Un anno e mezzo più tardi, il 15 giugno 2000, il sindaco Francesco Rutelli gli consegna le chiavi della Città Eterna per ventiquattro ore, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Sordi diventa così simbolicamente sindaco di Roma per un giorno e sale in Campidoglio con la fascia tricolore, accolto dai vigili urbani in alta uniforme. A un certo punto, durante la cerimonia, una signora gli si avvicina con un mazzo di fiori giallorosso e, complimentandosi, gli dice: «Albe’, tu oggi sei il sindaco di Roma e sei anche un sindaco giallorosso… un sindaco romanista»[1].
Francesco Totti, impegnato con la nazionale agli Europei, lo omaggia adeguatamente: «È un personaggio storico di Roma e per la città è un simbolo. È giusto farlo sindaco per un giorno. Gli faccio tanti auguri e, come si dice in queste circostanze, cento di questi giorni. Sordi è uno dei miti di Roma».
Il 18 novembre del 2000 Albertone viene insignito a Coverciano del titolo di “direttore tecnico ad honorem” in virtù della sua interpretazione del 1970 ne “Il presidente del Borgorosso Football Club”. «La Roma vincerà lo scudetto» dice l’attore capitolino al momento del conferimento della nomina da parte di Azeglio Vicini, ex ct della nazionale, e dell’avvocato-scrittore Mario Valitutti. Sarà buon profeta perché la squadra giallorossa, guidata da Capello in panchina, conquisterà il suo terzo tricolore nel giugno successivo. Vincenzo Montella, dopo il titolo, gli regala la sua maglia con lo scudetto sul petto.
«Posso dire che nella mia vita il gioco del calcio è nato con me – racconta Sordi a Coverciano – ed è continuato con tutte le cose che ho praticato fin da giovanissimo, come il cinema e la fede, e che mi hanno accompagnato addirittura fino al Giubileo del 2000. Considero il calcio lo spettacolo più bello del mondo».
Il film sul Borgorosso, rivela, fu ispirato da esperienze reali: «In particolare mi ispirai al figlio di una ricca famiglia romana di cui ero amico – le parole di Sordi – diventò presidente della Lazio e si indebitò (dovrebbe trattarsi di Ernesto Brivio, patron biancoceleste dal 1962 al 1963, n.d.r.). Un giorno il padre decise di non riconoscere i debiti fatti e il figlio venne portato in galera. Il calcio è bellissimo, ma non si può riprodurlo al cinema. Allora raccontai la storia del presidente di una squadra di provincia che eredita la società di calcio dal padre finendo poi per lasciarsi appassionare troppo e indebitarsi».
E i presidenti di oggi? «Uno che associa cinema e calcio è [Vittorio] Cecchi Gori – continua – è molto appassionato, segue le passioni del padre, ma gli consiglierei di stare attento a tutto, nel cinema e nel calcio. Stia attento soprattutto a come commercia: vendere Batistuta è stata una imprudenza, vuol dire fare vincere lo scudetto alla Roma».
Si lascia andare a un consiglio anche per capitan Francesco Totti: «Non si deve abbandonare al divismo. Oggi i giocatori diventano primedonne, più divi, non tanto per fare i gol, quanto perché sanno che li guardano. Il successo si misura nel tempo. Totti non si lasci frastornare dal divismo creato dal pubblico e dai giornali. Deve sempre far finta di niente come se non fosse mai arrivato».
Uomo dalla grande fede, non sembrava temere la morte. «Sei preoccupato?» gli chiese una volta Enrico Vanzina, «maddeché! Io c’ho parlato (con Dio, n.d.r.), c’ho la suite» rispose prontamente il grande attore e regista romano.
Alberto Sordi, ammalato da tempo, vola via la notte tra il 24 e il 25 febbraio 2003. I giocatori della Roma apprendono la notizia mentre sono in partenza per Valencia, dove il 26 febbraio battono 3-0 la squadra di casa in Champions League (doppietta di Totti e gol di Emerson). «Dedichiamo il successo ad Alberto Sordi. È il migliore addio per un grande romanista», dice senza esitazione Fabio Capello, tecnico romanista, dopo la vittoria.
Per la camera ardente di Albertone il Campidoglio concede l’aula Giulio Cesare, come accaduto per il sindaco Luigi Petroselli, scomparso nel 1981 quando era ancora in carica, e come accadrà a Franco Sensi, presidente della Roma, morto nel 2008. Accanto alla bara, nel pomeriggio del 26 febbraio 2003, Totti fa arrivare una corona di rose gialle e rosse. Un anno più tardi, per il primo anniversario della sua scomparsa, il capitano romanista è presente a una commemorazione ufficiale in Campidoglio insieme a tantissimi personaggi dello spettacolo.
I solenni funerali di Albertone si celebrano il 27 febbraio 2003 alla Basilica di San Giovanni in Laterano davanti a 250 mila persone commosse. La Roma del calcio e i romanisti omaggiano Sordi soprattutto il 2 marzo 2003, in occasione della sfida casalinga vinta 3-1 contro l’Empoli. I giocatori giallorossi scendono in campo con il lutto al braccio e, prima del match, viene osservato un minuto di raccoglimento mentre i megaschermi dell’Olimpico proiettano le immagini di Albertone.
Durante i minuti iniziali della gara la Curva Sud intona «ma ’ndo vai se la banana non ce l’hai?» (dal film “Polvere di stelle” del 1973) e gli striscioni in memoria del grande attore di Trastevere non si contano:
Quel 2 marzo 2003, in occasione di Roma-Empoli, non manca qualche striscione offensivo nei confronti di Francesco Speroni, politico della Lega Nord e capo di Gabinetto del ministero per le Riforme Istituzionali, che, alla morte di Sordi, aveva detto sprezzante: «Certamente non può essere definito un attore simbolo di tutti gli italiani: ha lo stesso passaporto mio, ma rappresenta una realtà locale, territoriale, la cultura romana, romanesca. Basta sentire la mia pronuncia per capire che non posso riconoscermi in Alberto Sordi e poi spero che i vigili padani siano diversi da quello che ha rappresentato lui nei suoi film».
Il 2 marzo 2003 anche la Lazio, impegnata a Perugia, gioca con il lutto al braccio in memoria di Alberto Sordi e il successivo derby, in calendario l’8 marzo, diventa una nuova occasione di omaggio. Prima della stracittadina, che si concluderà 1-1 (reti di Stankovic all’8’ e Cassano all’89’), Aurelia, 86enne sorella maggiore di Albertone, riceve un mazzo di fiori dai capitani delle due squadre, Francesco Totti e Giuseppe Favalli. Accanto all’anziana donna c’è il sindaco di Roma Walter Veltroni con i presidenti dei due club, Franco Sensi e Ugo Longo.
In Curva Sud appare uno striscione, «Peppino sei tu? Peppino? Prrr», che riprende lo sketch del film “Il marito”, in cui Albertone spernacchia i laziali. In tribuna Monte Mario l’americano a Roma c’è davvero: è l’attore-regista statunitense Mel Gibson, nella Capitale per girare il film “La passione di Cristo” e trascinato allo Stadio Olimpico dal suo agente italiano Fabio, tifoso romanista.
Il 26 luglio 2007, in occasione della festa per gli 80 anni di vita della Roma, allo Stadio Olimpico, in scaletta c’è anche un omaggio per Alberto Sordi, così come per Fiorenzo Fiorentini, Aldo Fabrizi, Nino Manfredi e Gabriella Ferri, tutti immensi personaggi del cinema legati alla Capitale e ai colori giallorossi.
Un’occasione speciale di ricordo è la manifestazione “Roma, Alberto Sordi e la Roma”, organizzata il 24 febbraio 2018 (nel quindicesimo anniversario della morte dell’attore) dall’Unione Tifosi Romanisti e dai Cavalieri della Roma, in collaborazione con l’archivio fotografico di Marcello Geppetti, custodito dalla Dolcevita Gallery.
«Ricordare Alberto Sordi credo che sia qualcosa di straordinario per chiunque è romano – le parole nell’occasione di Antonio Tempestilli, dirigente della Roma di lunga data dopo esserne stato calciatore dal 1987 al 1993 – non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo, ma era un uomo attento al rispetto e alla solidarietà. Come A.S. Roma abbiamo fatto qualcosa negli anni insieme alla Fondazione Alberto Sordi». Nonostante la nomea di uomo tirchio, infatti, l’attore romano si è dedicato alla beneficenza creando sin dal 1992 una fondazione a suo nome, impegnata ancora oggi nell’assistenza degli anziani. È peraltro non trascurabile il fatto che la “Fondazione Alberto Sordi” abbia sede a due passi da Trigoria, dove c’è il quartier generale dell’Associazione Sportiva Roma.
L’avvocato Giovanni Ferreri, vicepresidente giallorosso per 18 anni e per qualche tempo legale di Alberto Sordi, ricorda: «È incredibile come nella vita reale fosse esattamente come appariva sullo schermo. Una volta eravamo a Parigi e, dopo una cena al ristorante, dovevamo prendere il taxi. Ci ritrovammo in una fila infinita che ci sarebbe costata almeno un’ora di attesa e così Alberto, a un certo punto, è passato davanti a tutti gridando in italiano “c’ho mamma malata, c’ho mamma malata”».
Maurizio Cenci, storico dirigente romanista, coglie un’analogia con uno straordinario presidente giallorosso: «Sordi era una bellissima persona e un grande tifoso della Roma. Di lui ho un ricordo dell’epoca di Dino Viola: avevano in comune il fatto di portare sempre un pettinino nella tasca dei pantaloni e ogni tanto lo utilizzavano per essere sempre perfetti».
Ernesto Alicicco, medico della Roma dal 1978 al 2001, ricorda: «Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo durante una cena a Trigoria grazie al presidente Dino Viola. Mi si avvicinò e mi disse: “meno male che non sei il medico della mutua”». L’allusione è al film “Il medico della mutua” di Luigi Zampa del 1968, in cui Sordi interpreta il dottor Guido Tersilli, che ricovera i sani a pagamento e manda a casa i malati senza soldi.
Alberto Ginulfi, portiere della Roma dal 1958 al 1975, ha conosciuto il grande attore trasteverino in occasione dell’uscita del film “Il presidente del Borgorosso Football Club”, nel 1970: «È un personaggio immenso come Pelé, Maradona, Michael Jordan o Federer» dice l’ex numero uno giallorosso. Sulla stessa lunghezza d’onda Giacomo Losi, storico capitano romanista: «Non l’ho conosciuto molto perché frequentava poco gli spogliatoi, ma ricordo che veniva allo stadio e ci faceva mandare un saluto tramite altre persone. Lo ricordo come un attore favoloso e una persona eccezionale».
Infine Massimo Wertmüller, che ha recitato con Alberto Sordi nel film di Gigi Magni “In nome del popolo sovrano” del 1990, ricorda il suo primo contatto con il grande attore: «La prima volta sul set Magni mi ha accolto invitandomi a raggiungere Sordi – le sue parole [2]– “Mamma mia”, pensai. Sono salito su una scala a chiocciola per arrivare sulla terrazza della bellissima Accademia di Finlandia a via Giulia, addobbata in stile ottocentesco, con un gazebo d’epoca. Qualcosa però mi stonava perché Sordi era sdraiato su una sedia “chaise longue”, con occhialetti e ciabatte moderni, e leggeva il “Corriere della Sera” che parlava della Roma».
Il 25 febbraio 2018, davanti alla storica villa di Sordi a Piazzale Numa Pompilio, vicino Terme di Carcalla, appare uno striscione: «Ciao Albertone, l’unico e vero americano a Roma!», non senza una vena polemica verso il presidente giallorosso James Pallotta, bostoniano doc. La memoria non si perde: Alberto Sordi resta un’icona di Roma e della Roma.
Fonti: Archivio agenzia Ansa
Ricordi di Enrico Vanzina, Massimo Werthmüller, Alberto Ginulfi, Giacomo Losi, Ernesto Alicicco, Antonio Tempestilli, Riccardo Viola, Maurizio Cenci, Francesca Del Bello raccolti alla manifestazione “Roma, Alberto Sordi e la Roma” del 24 febbraio 2018
Il Corriere dello Sport (numeri vari).
La Roma (mensile), annate 1992 e 1998.
Gazzetta dello Sport del 16 giugno 2001.
La Repubblica del 26 febbraio 2003.
Corriere della Sera del 26 febbraio 2003.
Il Romanista del 14 ottobre 2009.
Spqr Sport, anno III, numero 2 (febbraio 2012).
Sportweek del 7 marzo 2020.
www.asromaultras.org
www.cinquantamila.it/
www.fondazionecsc.it/
“L’A.S. Roma dalla A alla Z” di Massimo Izzi (Newton Compton Editori).
“Enciclopedia del Cinema” edita dalla Treccani.
[1] Aneddoto raccontato da Francesca Del Bello il 24 febbraio 2018.
[2] Aneddoto raccontato da Massimo Wertmüller il 24 febbraio 2018.